La verità su San Simonino e le condanne rituali Simonino, caso da riaprire

La verità su San Simonino e le condanne rituali Simonino, caso da riaprire

Il professor Ariel Toaff non ha esitazioni: «Il caso del Simonino va riaperto, perché c’è ragione di ritenere verosimile l’infanticidio rituale»

 


di Zenone Sovilla

Fonte: L’Adige, 8 febbraio 2007

Il professor Ariel Toaff non ha esitazioni: «Il caso del Simonino va riaperto, perché c’è ragione di ritenere verosimile l’infanticidio rituale. Dopo otto anni di ricerche, ritengo di aver dimostrato che quella di Trento è una delle rare vicende che non si possono liquidare semplicemente come frutto delle diffuse calunnie antisemite».
La tesi è frutto di una ricerca storica sfociata nel volume Pasque di sangue. Ebrei d’Europa e omicidi rituali (Il Mulino, 364 pagine, 25 euro), atteso oggi in libreria, che prima ancora di uscire ha suscitato reazioni di segno contrastante, compresa una protesta della comunità ebraica italiana cui appartiene lo stesso autore, che è anche docente universitario di storia in Israele.

Professor Toaff, oggi la ricostruzione storiografica dell’episodio del piccolo Simone assolve la comunità ebraica trentina (venuta dalla Germania) e inscrive gli avvenimenti nel vasto ambito della propaganda antigiudaica. Al punto da ritenere false, in quanto estorte sotto dettatura tramite sevizie, le stesse confessioni degli ebrei accusati di aver ucciso il bimbo per utilizzarne il sangue nei riti pasquali di quel marzo del 1475. Lei, ora, ritiene di avere elementi per considerare veritiere quelle deposizioni: su che cosa basa le sue conclusioni?

«Innanzitutto, bisogna contestualizzare. L’ebraismo germanico veniva da un periodo massacrante, aveva subito persecuzioni spietate in seguito alle crociate: uccisioni di donne e bambini, conversioni forzate, violenze crudeli. Si pensi che le madri arrivavano a sopprimere i figli, che i maestri assassinavano i discepoli, pur di evitare che fossero trascinati al fonte battesimale dai cristiani. Dopo questi fatti, alcune frange minoritarie svilupparono un forte desiderio di vendetta, speculare a quanto avevano subìto. In particolare, si trattava di comunità riconducibili all’epicentro ashkenazita dell’area di Norimberga, come quella presente a Trento».

Veniamo al processo per la morte di Simone…

«In sostanza, l’analisi di quegli atti e di altri documenti mi spinge a considerare inverosimile che i giudici avessero potuto mettere in bocca agli imputati, che si esprimevano in una sorta di ebraico tedesco, racconti così densi di riferimenti precisi alla tradizione, ai riti, alla memoria di queste comunità di area germanica. Non è possibile che i funzionari pubblici conoscessero tutto ciò, quindi quelle testimonianze non potevano essere frutto di un’estorsione né una proiezione del pensiero dei giudici».

Come ha proceduto in questo suo lavoro di analisi storico-filologica?

«Ho cominciato tralasciando gli aspetti più problematici della questione: la Pasqua, il sangue per le azzime di Pesach eccetera. Così ho verificato che per tutto il resto vi sono riscontri storici al cento per cento. Per fare un esempio, un teste menziona un conoscente, tale Asher, un ebreo condannato a Venezia per usura: ho controllato ed era tutto vero. A questo punto, mi sono concentrato sulle celebrazioni pasquali e ho comparato le deposizioni trentine con i testi delle comunità ebraiche presenti all’epoca in Germania: anche qui la corrispondenza è perfetta».


Rimaneva il nucleo della controversia: l’ipotesi di omicidio rituale…

«Sì, l’ultimo scoglio erano le testimonianze che facevano riferimento proprio al sacrificio del Simonino. Ed è qui che l’aspetto linguistico diventa fondamentale. Era un ebraico storpiato che si diceva aggiungesse un alone esotico e satanico su queste comunità. L’ho riportato alla pronuncia non italiana ma tedesca, ho cercato le possibili varianti semantiche e ho ricostruito riferimenti a un certo ambiente norimberghese dell’ebraismo. In questo modo è emerso chiaramente che il discorso in ebraico ashkenazita degli ebrei di Trento non poteva essere stato indotto da non appartenenti alla comunità. E dunque le confessioni si possono ritenere credibili. Non dimentichiamo che stiamo parlando di una minoranza di fondamentalisti che non erano rappresentativi dell’intera galassia religiosa: il mondo ebraico di allora era variegato quanto quello islamico oggi, che al suo interno alberga pure piccole frange di terroristi».

Quindi lei sostiene che il caso di Trento fu un’eccezione e non nega affatto che gli ebrei in linea generale sono stati vittime di una calunnia storica anche in relazione agli infanticidi…

«Certo, la grande maggioranza degli episodi di cui parliamo è stata attribuita impropriamente agli ebrei, in forza di una propaganda alimentata da gruppi di potere religioso, cattolici o musulmani. Se il caso di Cogne fosse avvenuto nel ‘400, la vulgata avrebbe incolpato gli ebrei. In realtà, per quanto mi risulta, da noi a essere problematica è proprio la singola vicenda di Trento: me ne occupo in otto capitoli del mio libro, nei quali una lunga serie di elementi conforta chiaramente la tesi che l’infanticidio sia effettivamente accaduto».

Una conclusione che ha destato un certo sgomento nella comunità ebraica, a cominciare da suo padre, rabbino emerito di Roma…

«Hanno protestato prima ancora di leggere il libro. Immagino che anche a Trento ci siano state reazioni. Io sono pronto al confronto, ma prima desidero che l’interlocutore si informi sulle mie ricerche. Chi mi risponde ricordando, tra l’altro, che la tradizione ebraica proibiva l’uso di sangue umano nei rituali non aggiunge nulla di serio all’analisi scientifica: qui stiamo parlando di schegge fanatiche che infrangevano quel divieto. D’altra parte, diversi colleghi che si sono avvicinati al mio lavoro concordano con la mia ricostruzione circa la presenza di quelle comunità ebraiche violentemente anticristiane che al loro interno contavano presenze assai virulente e aggressive. Al limite, può esserci qualcuno che conserva perplessità sull’ultimo anello della mia ricostruzione, cioè sull’omicidio rituale. Per parte mia, invece, ritengo non vi sia margine di dubbio sul piano storiografico. Perciò credo che a Trento sarebbe corretto riaprire quel capitolo sulla base dei nuovi elementi contenuti nel mio libro».

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La chiesa di San Lorenzo, a Dimaro, custodisce un affresco raffigurante il Simonino da Trento

La chiesa di San Lorenzo, a Dimaro, custodisce un affresco
raffigurante il Simonino da Trento

 

Fonte: l’Adige (14/03/09 di Lara Zavatteri)

COGOLO – La chiesa di San Lorenzo, a Dimaro, custodisce un affresco raffigurante il Simonino da Trento. Il dipinto, datato 1488, opera dei Baschenis, è solo una delle testimonianze pittoriche dedicate al bambino trovato morto nella Pasqua del 1475 a Trento, della cui morte furono ingiustamente accusati gli ebrei della città ed il cui culto fu soppresso nel 1963. Se ne è parlato a Cogolo nell’incontro «Il Simonino da Trento (nella foto la cappella nel capoluogo) , secoli di antisemitismo locale» promosso dalla biblioteca della Valletta all’interno del ciclo «Fra memoria e ricordo» del Coordinamento biblioteche, nell’ambito del Progetto Focherini. Si è voluto approfondire il tema del Simonino parlando di una lontana vicenda di antisemitismo perché lo stesso Focherini, nato a Carpi ma originario della Val di Peio, visse in un’epoca impregnata di odio per gli ebrei – gli anni della seconda guerra mondiale – aiutandoli a salvarsi e meritandosi il titolo di «Giusto tra le genti». L’incontro si è svolto l’11 marzo, lo stesso giorno in cui, nel ‘44, Focherini fu arrestato a Carpi mentre salvava degli ebrei. Ad introdurre la serata il bibliotecario Rinaldo Delpero mentre i relatori Gianfranco Bondioni e Virtus Zallòt hanno inquadrato la vicenda dal punto di vista storico ed artistico. Bondioni ha evidenziato i legami tra la vicenda e l’area bresciana (la famiglia del Simonino veniva dalla zona del Lago d’Iseo) dove gli ebrei potevano prestare denaro e furono ostacolati dai francescani. Bernardino da Feltre, francescano, fondò vari Monti di pietà e fu tra i più accesi persecutori degli ebrei. Bondioni ha ricordato le vicende di altri due bambini delle cui morti furono accusati gli ebrei, con molte concordanze con il caso di Trento ricordando che «la posta in gioco con il caso Simonino era dire che la colpa non era del singolo ma era inscritta nella religione dell’ebraismo». Ha poi fatto notare come siti Web di cattolici integralisti chiedano la riapertura del caso e ha ricordato che a Trento nel 2007 è nato il Comitato San Simonino. Virtus Zallòt ha parlato dell’iconografia del Simonino nelle chiese lombarde di Malegno, Gussano, Borno, Zurane di Provaglio, Lovere e in Val Rendena a Carisolo. In quest’ultima Simonino è vicino a Carlo Magno (che impose il battesimo ai giudei) mentre sempre è raffigurato con ferite, gli strumenti della tortura e una ciotola per raccogliere il sangue, presente anche a San Lorenzo a Dimaro. Le immagini volevano suscitare odio verso gli ebrei e affiancavano Simonino a Gesù, dipingendolo in una posizione che ricorda la croce, così da collegarlo all’accusa di deicismo mossa agli ebrei. Gli ebrei erano dipinti con caricature tali da renderli orribili, una modalità che useranno secoli dopo anche i nazisti nella loro propaganda antiebraica. Sabati 21 marzo appuntamento con «Il mistero di Simonino, un beato a furor di popolo» spettacolo teatrale alla sala del Parco alle ore 21.

 

San Simone da Trento

San Simone da Trento
(festa liturgica 24 marzo)

 

Simone di Trento fu martirizzato il 23 marzo 1475. Dopo un’accurata inchiesta la Chiesa riconobbe la realtà del martirio dell’innocente fanciullo. Nel 1584 il suo nome fu iscritto nel Martirologio romano col titolo di santo su ordine di Papa Gregorio XIII; nel 1588 Papa Sisto V concesse per la diocesi di Trento Messa e Officio proprio del Beato Simonino. La Bolla Beatus Andreas del 22 febbraio 1755 del Papa Benedetto XIV riconobbe nuovamente il culto prestato a san Simonino affermando che “fu crudelmente messo a morte in odio alla fede”, culto confermato da innumerevoli miracoli. Il popolo di Trento ha venerato il suo piccolo patrono fino ai giorni nostri.